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Fermentazione… quel che serve sapere

Quando si parla di vino, si sta parlando immancabilmente anche di fermentazione alcolica.

Il processo fermentativo è difatti il “big ben” di ogni vino. Chi sostiene che il vino si fa prima di tutto in vigna, storcerà il naso per questa considerazione, ma la fermentazione è quel processo chimico che definisce i limiti della parola “vino” (non a caso, è la condizione necessaria e sufficiente nella definizione di legge del vino, dove si parla di “risultato della fermentazione”).

L’interesse per quest’argomento è in continua crescita, nell’ultimo decennio: il veloce diffondersi, su larga scala, dei principi della produzione del vino biodinamico o del vino naturale, ha posto un nuovo modo di interpretare le scelte tecnologiche relative alla fermentazione.

Proprio il processo fermentativo, abbinato a varie indicazioni in ambito agronomico, sono le “colonne portanti” di queste tipologie di produzioni.

Questa “disputa” legata alla fermentazione, mi ha spinto ad approfondire alcuni argomenti legati a questa fase fondamentale della realizzazione di un vino.

Il fenomeno chimico

La fermentazione è un processo chimico che porta alla trasformazione di alcuni composti organici (zuccheri ed acidi organici) in composti più “semplici” (alcool e acidi organici più semplici) ed energia. È frutto del lavoro di vari microrganismi, esistenti in natura, quali lieviti, muffe e batteri.

Il fenomeno chimico, tecnicamente, passa attraverso un meccanismo che prevede di versi passaggi: glicolisi (o scissione delle molecole di zucchero) ed una decarbossilazione dell’acido piruvico, riduzione in etanolo; gli zuccheri si trasformano in etanolo attraverso una prima ossidazione seguita da un’idrogenazione del composto.

Il fenomeno prevede una formazione di un’ampia gamma di composti secondari, oltre all’alcool, tra i principali:

  • Anidride carbonica
  • il glicerolo o glicerina (legato proporzionalmente alla quantità di zuccheri presenti nel mosto) composto che determina la morbidezza del vino;
  • l’acido succinico;
  • l’acido acetico (la cui presenza, in alta concentrazione, determina lo “spunto”, ossia il difetto del vino legato al sapore di “aceto” che rende il vino non consumabile; per legge ha un limite ben definito di concentrazione nel vino, differente tra vino bianco e vino rosso).

In enologia i microrganismi causa della fermentazione sono i Lieviti, in particolare le tipologie Anaerobiche (la cui azione respiratoria è proprio la fermentazione); tra i preferiti in ambito di vinificazione sono le tipologie seguenti;

  • ELLITTICI (o saccaromiceti), tra cui i principali sono i Saccharomyces cerevisiae (il noto Lievito di Birra) e i Saccharomyces Bayanus
  • APICULATI (Kloekera apiculata)

I primi si contraddistinguono per una maggior resa nella trasformazione dello zucchero in alto, oltre ad aver la capacità di resistere ad importanti concentrazioni in alcool.

I secondi invece hanno la capacità di iniziare velocemente l’attività fermentativa, per contro la loro azione si conclude con basse concentrazioni in alcool (3-4%alc).

lievitiVi sono chiaramente molte altre tipologie di Lieviti, cito in particolare quelle Aerobiche: causa dell’acetificazione del mosto, tanto odiati in vinificazione (essendo causa del fenomeno dello “Spunto” acetico) quanto fondamentali nella produzione dell’Aceto Balsamico, dove le botti scolme e aperte, sono il metodo per favorirne l’attività aerobica.

I lieviti sono microrganismi presenti naturalmente in ogni ambito, ed in particolare, nelle bucce degli acini d’uva: in un vigneto si viene a creare un “ecosistema” nel quale saranno naturalmente presenti diverse specie di lieviti, alcuni utili e positivi ai fini della fermentazione alcolica, altri meno importanti e marginali, addirittura dannosi per il rischio di produzione di sostanze indesiderate.

Questo significa che in un mosto d’uva si può attivare naturalmente un processo fermentativo: i lieviti presenti nel mosto, traferitisi nel liquido dalle bucce durante la pigiatura e la macerazione, alla presenza di alte concentrazioni di zucchero, iniziano la trasformazione; senza garanzia di quali fenomeni si attivino, come può risultare evidente da quanto detto finora.

Indigeni o selezionati?

Qui si apre la disputa tra naturalisti e tecnologi: controllare la fermentazione attraverso la scelta dei lieviti che attivano il processo di trasformazione del mosto in vino.

fermentazioneSecondo le produzioni biodinamiche e naturali, il fenomeno fermentativo non deve dipendere da inoculo di lieviti selezionati in laboratorio (ceppi selezionati di lieviti anaerobi, i cui studi di laboratorio hanno evidenziato la bontà della resa della trasformazione, oltre al controllo dei prodotti secondari della fermentazione). Mentre i tecnologi, nella ricerca di ottimizzare la qualità del prodotto finale (che potrebbe esser intaccato da fenomeni fermentativi non prevedibili), preferiscono “inattivare” le colture di lieviti presenti nel mosto e inoculare lieviti di cui si ha ampia conoscenza del comportamento.

Da questa diversità di approccio nasce la differenza tra i cosiddetti lieviti autoctoni o indigeni (ai quali, non so se romanticamente o meno, è assegnato dai naturalisti un ruolo nel definire il terroir di una zona produttiva) ed i lieviti selezionati (derivanti dallo studio tecnologico in ambito enologico).

In particolare, il “seme della discordia” tra le due diverse correnti di pensiero, verte sullo strumento per l’inattivazione e controllo dei lieviti indigeni: la tanta discussa anidride solforosa.

L’anidride solforosa, infatti, oltre alla sanificazione del vino, ha lo scopo di inattivare lieviti e batteri presenti nel mosto, permettendo di controllare la fermentazione inoculando lieviti conosciuti e ben resistenti alla “solforosa” (come detta in gergo).

L’obiettivo finale

A questo punto entra in gioco l’obiettivo finale: la massima qualità del vino che si vuol produrre.

La qualità del vino dipende da molti fattori, tra cui il saper gestire al meglio il processo fermentativo, perché annate diverse danno uve diverse e quindi un mosto diverso: questo significa che l’enologo dovrà cavalcare e domare un “cavallo” diverso ad ogni vendemmia. Questo è ciò che fa dell’uomo un elemento fondamentale nella qualità del vino.

L’uomo può spingersi sia a selezionare la tipologia di microrganismi coinvolti nella fermentazione (azione comunque fondamentale nell’ambito della spumantizzazione), sia controllandone l’insieme delle ”azioni trasformatrici” dei microrganismi presenti nella buccia degli acini: infatti, il controllo della temperatura del liquido permette di accelerare, rallentare o bloccare l’azione dei lieviti.

profumi del vinoCredo che quanto detto, permetta al lettore di capire perché alcuni vini naturali manchino di eleganza nei profumi appena aperta la bottiglia, alla pari intuire come l’eccesso di pulizia al naso di alcuni vini, manchi di quella rusticità che richiama il terreno da cui nasce il vino, rischiando una standardizzazione del prodotto.

La disputa credo non avrà mai fine, ma tra i contendenti resta imprescindibile un “assioma” che li accomuna: l’uva di ottima qualità è il pilastro fondamentale di qualsiasi grande vino.

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