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Il “divino” nel vino

Il “Vangelo” di Pippo Delbono è nato dalla richiesta di “fare uno spettacolo sul Vangelo, per dare un messaggio d’amore”, da parte di sua madre: da qui, l’autore si è interrogato, attraverso il flusso dei suoi ricordi, sul significato della religione oggi, nelle sue contraddizioni ma anche nella sua bellezza, arrivando ad un “bisogno di conciliazione, di trovare l’uomo al di là della fede e dei dogmi” (Pippo Delbono).

La riflessione si è trasformata ben presto in un viaggio straordinario “nei luoghi” del Vangelo, “nel tempo presente”, Italia, Francia, Romania, Russia, America Latina, ovunque, per incontrare persone arrivate dall’Africa, dal Medio Oriente, attraversando deserti, mari, frontiere. Da questi volti segnati dall’orrore delle guerre e dalle sofferenze sono emerse storie di profughi, emarginati, oppressi: storie di dolore, ma capaci di trasformare quel dolore in speranza, desiderio, gioia.

Come Vangelo è un viaggio nel presente e nel mondo, alla ricerca di Dio, così cercheremo di fare un viaggio, nel tempo e nei luoghi, alla ricerca del divino nel mondo del vino.

Il vino ha da sempre una forte connotazione sacrale; sin dall’antichità gli sono stati riconosciuti poteri mistici, religiosi e rituali, collegati ai suoi effetti inebrianti.

La vitis vinifera cresceva originariamente come pianta rampicante spontanea (silvestris) nelle foreste, nelle zone corrispondenti all’Anatolia e alla Turchia orientale, adiacenti al mar Caspio, già 300.000 anni fa.

Gli uomini della preistoria ben presto iniziarono ad apprezzare il frutto di questa pianta, consumandone i grappoli o il succo spremuto. Si ritiene che la scoperta del vino fu casuale: un giorno, nel Paleolitico avanzato, a seguito della fermentazione naturale del succo d’uva, avvenuta nei contenitori dove veniva riposto, i primi ominidi si accorsero che il gusto della bevanda era diverso: era iniziata la storia del vino.

Successivamente, attorno al 3.400 a.C., l’uomo iniziò la coltivazione della vite che da silvestris divenne sativa, nelle zone dell’Egitto, Palestina, Giordania, Mesopotamia.

In particolare, gli Egizi furono probabilmente i primi viticoltori: in affreschi rinvenuti in alcuni siti funerari, sono rappresentate chiaramente tutte le fasi della vinificazione, dalla vendemmia al trasporto del mosto sul Nilo, sino alla conservazione del vino in anfore dal collo stretto e allungato, chiuse da un tappo d’argilla. Essi attribuivano a Osiride, dio dell’agricoltura, quindi ad una divinità, la scoperta del vino ed Erodoto riferisce che celebravano feste in onore della luna nuova con grande consumo di vino. Il vino era presente anche nei corredi funebri: nella tomba del re Tutankamon (1339 a.C.) sono state ritrovate anfore che contenevano vino, con l’indicazione della zona di provenienza e l’annata.

In genere, tutte le civiltà antiche collegavano la scoperta del vino alle loro mitologie ed epopee religiose e, in tutte queste storie, la coltivazione della vite avveniva dopo un grande diluvio, a seguito del quale la divinità affidava agli uomini giusti, che si erano salvati, il dono del vino; nella Bibbia, Noè, sceso dall’Arca dopo il Diluvio Universale, piantò una vigna, e con l’uva di questa fece del vino che bevve, sino a raggiungere uno stato di ebbrezza.

Il vino nell’antichità si collegava sempre a cerimonie e riti magici d’iniziazione e per questo l’ubriachezza non era disdicevole, ma aveva un carattere sacrale: attraverso di essa, l’uomo entrava in contatto con il divino e l’aldilà; il vino era la bevanda che consentiva all’uomo diventava simile agli dei.

Infatti, il processo chimico di fermentazione, in base al quale lo zucchero contenuto nel succo d’uva, grazie all’azione dei lieviti presenti naturalmente sulle bucce del frutto stesso, si trasforma in alcool, non era noto e veniva considerato come un insondabile mistero, al punto da far ritenere il vino una bevanda di origine soprannaturale, magica.

Dionisio, raffigurato su un vaso greco

Dionisio, raffigurato su un vaso greco

Ma è con la civiltà greca che si verificò un cambiamento fondamentale: il vino non era solo il tramite tra l’uomo e il divino, ma divenne esso stesso dio, Dionisio, figlio di Zeus: Dionisio, il dio del vino, rappresentava tutto ciò che è istintivo e irrazionale, ovvero la parte primordiale e selvaggia dell’uomo.

Da qui la nascita dei rituali dionisiaci durante i quali un corteo di donne chiamate menadi e di uomini, chiamati satrapi, sotto l’effetto inebriante del vino, si abbandonava ad una danza ritmica ossessiva, per arrivare ad uno stato di tranche che gli antichi chiamavano “entusiasmo”.

In tutte queste occasioni, il consumo del vino era sempre un evento collettivo, che si trasformò, più tardi, nella introduzione del simposio (dal greco, “l’azione del bere insieme”), cioè una riunione serale in cui i convitati, riuniti in banchetto, alternavano il consumo del vino alla conversazione, al musica, al canto, secondo un cerimoniale rigidamente stabilito: il vino veniva considerato un veicolo del logos, capace di rendere più amabile la conversazione e ciò mette in evidenza come il vino sia stato sempre concepito come un simbolo di convivialità e uno strumento di aggregazione tra gli uomini.

La civiltà greca, inoltre, contribuì, grazie ai commerci, alla diffusione della cultura del vino in tutto il bacino del Mediterraneo, portandola a popoli diversi, come gli Etruschi e i Romani.

Gli Etruschi erano devotissimi al potente dio del vino Fufluns e, valorizzando il vino come momento di incontro e di gioia, ripresero dal mondo greco il rito del banchetto e del simposio: ad esso potevano partecipare anche le donne e il vino veniva servito in ampi crateri, come si evidenzia dalle pitture delle rappresentazioni tombali.

Bacco sorretto da un compagno, mosaico, Museo Romano-Germanico di Colonia

Bacco sorretto da un compagno, mosaico, Museo Romano-Germanico di Colonia

A Roma, Dionisio divenne Bacco: i riti legati al culto di questo dio, detti bacchici, vennero ad un certo punto proibiti dal senato, per essere poi nuovamente consentiti. Anche il rito del simposio venne ripreso dai Romani, che lo mantennero come pratica sociale elitaria ed esclusivamente maschile. I Romani, inoltre contribuirono a diffondere la viticoltura in tutta l’Europa, in particolare in Gallia nelle zone del Rodano, Bordeaux, Borgogna, Loira, Champagne, e in Germania nelle zone della Mosella e del Reno, arrivando sino in Inghilterra.

A partire dal III sec. d.C., a causa delle invasioni barbariche, la coltivazione della vite entrò in crisi; in un contesto di discordi e incertezze, dal VI al IX secolo, l’agricoltura regredì e i commerci cessarono quasi del tutto.

Ma, nel frattempo, la religione cristiana si stava rapidamente diffondendo e in essa il vino riveste un ruolo centrale: nella celebrazione dell’Eucarestia, il vino si trasforma in sangue di Cristo, per donare la salvezza agli uomini. Ecco perché furono i monasteri a conservare la cultura della vite e del vino: per diffondere il messaggio evangelico, ogni monastero aveva accanto la propria vigna.

I monaci insediarono i loro conventi in quasi tutte le regioni d’Europa e recuperarono i vigneti devastati dai saccheggi delle popolazioni germaniche. I monasteri, infatti, potendo contare su donazioni e lasciti dei nobili erano in grado di assicurare cure alla vigna, in modo da garantire un prodotto di qualità.

Monaci cistercensi al lavoro nei campi (dalle scene della vita di san Bernardo)

Monaci cistercensi al lavoro nei campi (dalle scene della vita di san Bernardo)

Furono i monaci benedettini, in particolare, ad occuparsi della viticultura e delle tecniche di vinificazione, attribuendo al vino una profonda importanza: la Regola di San Benedetto da Norcia, che nel 529 fondò il monastero di Montecassino e l’ordine dei Benedettini, permetteva infatti il consumo del vino non solo per scopi liturgici, anche come bevanda, sia pure in quantità modesta.

I monaci svolsero un ruolo fondamentale nella selezione dei vitigni, in modo da adattarli alla caratteristiche del terreno e del clima e perfezionarono le tecniche di coltivazione della vigna.

Un ulteriore evoluzione si verificò quando, a seguito delle continue scorribande e assedi in un’epoca di grandi incertezze, i monaci iniziano a nascondere le provviste e i generi alimentari nelle cantine, considerate più sicure e difficilmente raggiungibili, mentre, sino a quel momento, il vino veniva conservato nei solai: nelle cantine, il vino trovò il suo ambiente ideale, consentendo di migliorane la conservazione e l’evoluzione.

Inoltre, i monasteri non erano semplicemente luoghi di raccoglimento e preghiera, ma erano veri e propri centri di cultura, che ospitavano spesso uomini e personalità illustri, sedi di importanti incontri politici, durante i quali veniva servito il vino prodotto dal convento.

I monaci usavano il vino anche come bevanda offerta ai pellegrini in viaggio, che in epoca medioevale trovavano ospitalità nei monasteri posti lungo il loro cammino.

Al vino si attribuivano proprietà igieniche e medicinali, tanto che nel Medioevo si introdusse l’uso del vino come sistema terapeutico, producendo una sorta di vino medicato con erbe, spezie e aromi, per curare differenti tipologie di malattie o per difendere il corpo da infezioni, che potevano provenire da cibi mal conservati o da acqua inquinata.

I santi primi Abati di Citeaux

I santi primi Abati di Citeaux

Tra tutte le Abbazie d’Europa, furono quelle di Borgogna che svolsero il lavoro più attento nella cura e valorizzazione della vite e del vino. I monaci benedettini cluniacensi (dell’Abbazia di Cluny) e cistercensi (dell’Abbazia di Citeaux) identificarono il Pinot nero e lo Chardonnay come i vitigni più adatti a queste zone.

A seguito della loro opera, si iniziò anche ad elaborare, attorno al XIII secolo, il concetto di climat, ovvero una piccola parcella di vigneto, conosciuta con lo stesso nome da secoli, ben delineata e circoscritta che “per la sua posizione, la sua esposizione, la sua pendenza, la sua altezza e per i terreni con i quali confina, dispone di una individualità propria, che consente ai vitigni di acclimatarvisi in modo particolare e di produrre vini costanti per qualità e con caratteri originali, che li differenziano da tutti gli altri” (Pitiot e Poupon).

Celebri esempi di climat sono il l’Echezeaux a Vougeot, La Tache a Vosne-Romanèe, Charlemagne a Corton, Clos de Tart a Morey-Saint-Denis.

Grazie all’azione di questi monaci, la Borgogna iniziò a trasformarsi in una regione vitivinicola destinata ad entrare nel mito.

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