L’articolo di oggi vuole toccare la curiosità di coloro che sono abituati a prendere sempre la solita bottiglia di Sangiovese, di Custoza, di Pignoletto, di Brunello, i soliti vini Toscani, Veneti, Siciliani o Francesi, mai banali ma soliti e sulla bocca di tutti.
Oggi vogliamo proporvi tre vini capaci di risolvere qualsiasi abbinamento con un gusto esotico, profumi di terre lontane e magari mai provate, accettate la sfida?
La Nuova Zelanda: il Bianco
In Nuova Zelanda la viticoltura è praticata da ormai duecento anni ma solo negli anni ’70 con l’affinamento dei vini prodotti dal Sauvignon Blanc è cominciata la scalata ai vertici vinicoli in termini di qualità e credibilità a livello mondiale.
Prima in effetti non c’era solo una mancanza di tradizione e abitudine al vino che rendeva poco fini i palati neozelandesi, fino al secondo dopo-guerra c’era un tale pregiudizio sociale e proibizionismo imposto dalle autorità che rendeva illegale vendere vino ai negozi e, solo nel 1960, è stato permesso a ristoratori ed albergatori di acquistarne dalle aziende vinicole.
I vini che vogliamo consigliarvi provengono da Marlborough: dopo l’impianto delle prime viti europee tra il 1973 e il 1975 e i primi tentativi di vinificazione, dagli anni ’90 possiamo definire Marlborough terra d’elezione per il Sauvignon Blanc. L’esposizione alle influenze marittime, le temperature ideali per la maturazione, con escursioni termiche piacevoli e un terreno ricco di nutrienti rendono queste terre un toccasana per le uve ma non solo.
La nostra proposta: Saint Clair Sauvignon Blanc Wairau Reserve 2016
Il prodotto che proponiamo rappresenta uno dei cavalli di battaglia di Saint Clair, tra i più rinomati produttori della Nuova Zelanda e pionieri della viticoltura locale degli anni ’70.
Questo vino si presenta al naso come una cornucopia di frutti esotici, ci inebriano frutto della passione, licis e melone avvolti dalle note aromatiche floreali tipiche del Sauvignon Blanc. Al palato è secco, il sorso è di lunga persistenza, fresco e succoso ma di buon corpo.
Abbinatelo a pesce fresco e frutti di mare gratinati per concedervi un boccone di estate che ricorderete a lungo.
La California: il Rosso
La tradizione del vino in California è stata impiantata dalle vite di due uomini.
Il gioco di parole si risolve negli anni ’70 del 1700 con il frate Juniperro Serra che, per poter officiare le cerimonie religiose del suo ordine, necessitava di vino. Così nella regione i francescani piantarono viti (che precedentemente gli Spagnoli portarono in Messico) e con l’espansione della dottrina aumentarono i vigneti nella regione. Fino al 1784, alla sua morte, il frate diede vita a 8 congregazioni missionarie nella regione diventando così il padre del vino californiano.
Dopo la colonizzazione ci fu la febbre dell’oro nel 1848 che portò altri europei in cerca di fortuna nel nuovo continente, tra questi Agoston Haraszthy, nobile avventuriero Ungherese, che tra il 1850 e il 1860 decise di rimanere a vivere in queste terre ricche di fascino e potenzialità con la famiglia, così comprò un vitigno locale in cui insediarsi. Non apprezzando le uve locali e deluso dai vini che si producevano, importò 300 varietà di viti europee nella Sonoma Valley e la tradizione della viticoltura come produzione per il piacere di bere vino buono, ideali diversi dal suo “antenato” che portarono ad una fioritura dell’industria del vino in California.
Importante è sottolineare che questa fioritura è stata permessa anche da un’altra mossa dell’ungherese: esportò in Europa alcune viti Americane, ben presto si scoprì che le stesse erano ammalate, il vecchio continente conobbe in questo modo la fillossera che metterà in ginocchio la produzione europea degli anni a seguire e obbligherà i produttori italiani ad innestare i propri vitigni di qualità su impianti americani più resistenti al batterio.
La nostra proposta: De Loach Winery Pinot Noir Russian River Valley Bio
In America i prodotti di qualità hanno denominazioni AVA che corrispondono alle DOC italiane, scegliamo in particolare di presentare l’AVA Russian River Pinot Noir di De Loach segnalato anche da WineSpectator con una valutazione di 91.
Questo Pinot Nero gode delle mitigazioni climatiche della costa oceanica, nasce da terreni argillosi e di origine vulcanica, al naso si presenta ricco di frutti rossi, ciliegia, mirtilli e lamponi in particolare con speziature di garofano, il sorso si caratterizza di un corpo medio e di complessità piacevoli dovute all’affinamento in legno; non pesante e sicuramente capace di invecchiare fino ai 10 anni continuando a stupirci.
L’Ungheria: Dulcis in fundo
Presentiamo infine l’Ungheria che in ambito vinicolo come in ambito storico pur avendo una piccola estensione ha sempre avuto la capacità di imporsi e rimanere all’avanguardia.
Ovviamente parleremo dell’ambito vinicolo; le viti vennero impiantate in questa regione sin dai tempi dall’Impero Romano che aveva ribattezzato l’area sotto il nome di Pannonia, provincia che comprendeva anche parte dell’Austria. All’arrivo delle tribù Magiare alla fine del IX secolo, l’area era ricca di vigneti ed abili viticoltori, con ottime conoscenze in termini di vinificazione e dopo le invasioni Mongole del 1241, il sovrano Bela IV decise di porre particolare attenzione a queste culture e colture nella ricostruzione dell’Ungheria, è documentato che durante il suo regno ci fossero ingenti esportazioni di Nectar dei da Eger e Sopron.
A rendere celebre l’Ungheria del vino sarà il vino di Tokaj; documentato sin dalla fine del XV secolo, già dal 1641 venne sottoposto a regolamentazioni della produzione che limitava l’utilizzo di sole uve della regione di Tokaj-Hegyalja coltivate con determinate tecniche di irrigazione e concimazione. Queste regolamentazioni arrivavano a sancire persino la data della vendemmia (28 ottobre), una legislazione fine e puntuale che negli altri paesi è propria di questo secolo. Dalla metà del 17esimo secolo il Tokaji Aszù veniva apprezzato in tutte le corti europee a evidenziare un’attenzione commerciale e produttiva del tutto moderna.
La nostra proposta: Monyok Tokaji 3 Puttonyos Aszu
Abbiamo anticipato l’attenzione storica data a questo prodotto da sempre orgoglio nazionale Ungherese e nei secoli definito il “Sauternes dell’Europa Occidentale”, ora passiamo al bicchiere.
La vendemmia delle uve utilizzate per il Tokaji Aszu è tardiva e manuale per cogliere solo gli acini colpiti da muffa nobile, la celebre Botrytis Cinerea. Il vino che ne deriva è estremamente ricco di complessità dolci e fruttate, al naso risaltano albicocche e pesche abbracciati da note di agrumi freschi, il sorso ha corpo e persistenza, dolcezza di caramello e a seconda del numero di Puttonyos sarà presente un diverso apporto zuccherino. Imperdibile la degustazione con formaggi ricchi e freschi o come fine pasto insieme a un dessert cremoso.