Bianchi o rossi, fermi o spumanti, passiti o fortificati, il primo passo è uguale per tutti. Quando degustiamo un vino, infatti, la primissima cosa che facciamo, è osservarlo. L’esame visivo costituisce la prima fase della degustazione e dell’intero processo di analisi organolettica.
Oggi cerchiamo di capire insieme perché è tanto importante prestare la massima attenzione al modo in cui si presenta un vino nel bicchiere e quali informazioni preliminari possiamo dedurre da ciò che vediamo.
È facile intuire come la vista sia il senso che per primo viene stimolato durante la degustazione di un vino – in parte anche l’udito può essere usato ancor prima della vista al momento della mescita nel bicchiere: il rumore che fa il vino mentre scende nel calice può anch’esso essere rivelatore di alcuni “indizi”, ma è indubbiamente in fase di esame visivo che il degustatore rintraccia le informazioni preliminari che poi vedrà confermate (o anche smentite) nelle successive fasi “olfattiva” e “gustativa”.
Ma cosa si può apprendere con gli occhi? Quali elementi possiamo scoprire osservando un vino, riconoscendone il colore e definendone il movimento nel bicchiere? Beh molto più di quanto apparentemente si possa pensare.
Limpidezza
La limpidezza è un aspetto fondamentale, addirittura decisivo per proseguire la degustazione. La limpidezza è l’assenza di particelle in sospensione. Questo vuol dire che se noi guardiamo in controluce la superficie del vino, questa deve essere “liscia”, piatta come il mare in una giornata serena: non devono essere presenti sostanze, particelle, residui di tappo che “disturbino” la superficie.
Se così non fosse, si è autorizzati a interrompere la degustazione. Un vino non limpido nella maggior parte dei casi è un vino che ci deve mettere in guardia.
“Nella maggior parte dei casi” significa che ci sono alcune circostanze specifiche per cui si ammette la presenza di particelle, senza che ciò vada a inficiare il valore del prodotto. Per esempio quando un vino non ha subito filtrazioni o quando è stato imbottigliato insieme ai lieviti per terminare la fermentazione in bottiglia o ancora se ci troviamo in presenza di vini importanti che hanno fatto lunghi affinamenti e che presentano il cosiddetto “fondo”. Solo in questi casi una limpidezza non piena non è penalizzante.
Colore
Il colore del vino è forse l’elemento fra tutti più rivelatore, quello che contiene più informazioni utili a capire la relazione tra l’origine, intesa come vitigno, ambiente pedoclimatico, lavorazioni di cantina e il prodotto finito.
Il colore di un vino dipende prima di tutto dalle sostanze coloranti presenti nelle bucce dell’acino (antociani, leucoantociani, catechine ecc.), dal tipo di vinificazione cui il vino è sottoposto, in bianco, in rosso o in rosato e da quanto tempo il mosto è tenuto a contatto con le bucce per favorire l’estrazione del colore (i tempi di macerazione di un vino che appare rosa tenue saranno certo più brevi dei tempi di un vino rosso rubino).
Vitigni come il lagrein o il cabernet daranno vini ricchissimi di colore, inchiostrati, impenetrabili dalla luce; al contrario, vitigni come il pinot nero, il nebbiolo o il sangiovese, meno carichi di pigmenti, daranno colori più leggeri e meno intensi.
Ma attenzione! Il colore di un vino e più specificamente la sua tonalità, oltre che dal vitigno di partenza, dalla tipologia di terreno e dalla vinificazione, può dipendere anche dall’evoluzione che ha subito o che sta vivendo al momento dell’assaggio.
Un vino granato con riflessi aranciati molto probabilmente è un vino che ha subito una certa evoluzione e saranno poi il naso e la bocca a confermare quanto intuito con gli occhi.
Consistenza
La consistenza di un vino è l’ultimo aspetto su cui ci si sofferma, a meno che non ci troviamo in presenza di un vino spumante per cui non valutiamo la consistenza ma l’effervescenza di cui parleremo in seguito. Il vino, com’è ovvio, è costituito da acqua per la maggior parte, alcol etilico e altre sostanze che concorrono insieme a comporre la struttura del vino e la sua densità (un vino è evidentemente più denso dell’acqua, ma meno denso dell’olio, se così non fosse ci troveremmo di fronte a casi di malattie o difetti del prodotto). Per valutare la consistenza di un vino si ricorre al cosiddetto “effetto Marangoni”: si fa ruotare il vino nel bicchiere e si osservano lo spessore e la velocità con cui si formano lacrime e archetti. In linea di massima se gli archetti sono fitti e le lacrime spesse e lente a scendere il vino è dotato di buona consistenza, al contrario se gli archetti si presentano ampi e le lacrime sottili e veloci nella discesa il vino sarò poco consistente.
Effervescenza
Solo nel caso delle bollicine la valutazione della consistenza è sostituita dall’osservazione dell’effervescenza del vino, data dalla presenza di anidride carbonica che si sviluppa nel vino durante la seconda fermentazione. Se beviamo uno spumante o uno Champagne, quindi, non cercheremo l’effetto Marangoni, ma valuteremo il perlage: numero delle bollicine, grana e persistenza nel bicchiere.