L’Irpinia e le sue vigne
Una piccola vigna unica nel suo genere, un fazzoletto di terra che attraversa una dolce collina prospiciente la cantina…
Siamo in Irpinia, nel cuore della Campania, in un’area che da sempre si distingue per la sua vocazione vitivinicola. Un territorio unico, aspro e dolce insieme, dove si succedono colline, montagne e pianure, intervallate da corsi d’acqua. Tale conformazione determina un microclima che si differenzia dal resto della Campania per inverni rigidi e nevosi, estati miti e in generale buona piovosità e ventilazione costante.
Le vigne in Irpinia non si mostrano allo sguardo del visitatore distratto, ma si fanno scoprire da chi va a scovarle tra i boschi, gli ulivi e le erbe aromatiche. Esse, infatti, sono di piccole estensioni e letteralmente “sparpagliate” sul territorio tra i 350 e i 700 m s.l.m., con esposizioni diverse l’una dall’altra, determinando così variabili preziose in fase di raccolta che permettono di declinare il potenziale di ciascun vitigno in modi differenti.
La missione di Feudi di San Gregorio
È dalla voglia di raccontare il territorio irpino che parte, trent’anni fa, il lavoro di Feudi di San Gregorio, una cantina che oggi è una realtà in costante evoluzione ma con i piedi saldamente poggiati nella terra.
La sua missione è studiare il potenziale vitivinicolo delle uve autoctone nel pieno rispetto del territorio di appartenenza. Da un lato il Fiano di Avellino e il Greco di Tufo come uve a bacca bianca, dall’altro l’Aglianico di Taurasi come uva a bacca nera, tre DOCG campane vinificate con l’obiettivo di proteggere la diversità a partire dalla vigna, poiché la non-omogeneità e il rispetto della tradizione sono valori portanti per il vino del futuro.
“È il passato che ci insegna il futuro – dice Antonio Capaldo, presidente dell’azienda -. Il passato dell’Irpinia ma anche il passato come valore assoluto con il suo carico di sapienza, di lentezza e di emozioni in un territorio di straordinaria tradizione agricola. Un enorme tesoro – anche genetico – che nella prospettiva di Feudi di San Gregorio è la molla per proiettare il vino e tutto il territorio oltre il futuro prossimo e oltre i propri confini”.
Sono 795 le piccole vigne (per un totale di circa 250 ha) ciascuna considerata un tassello essenziale con lo scopo di preservare letteralmente il patrimonio vinicolo irpino. Un processo di salvaguardia territoriale e varietale che è sempre stato nel DNA di Feudi di San Gregorio e che con Antonio Capaldo ha ricevuto ulteriore impulso.
Una storia chiamata Pàtrimo
Tra le piccole vigne testimoni della storia del passato, ve ne è una unica nel suo genere, un fazzoletto di terra che attraversa una dolce collina prospiciente la cantina.
Un tempo i contadini credevano che quelle viti storiche producessero un aglianico particolare, perché diverso da quello che conoscevano a Taurasi. Eppure, quell’uva aveva una sua storia da raccontare, perché era da sempre stata lì a guardia del territorio, ma mai valorizzata nella sua intima essenza. Ebbene, quell’uva in realtà era Merlot, un Merlot di eleganza e freschezza tali che si è deciso di vinificare in purezza. L’unico vitigno internazionale che Feudi di San Gregorio coltiva perché da sempre accompagna la sua storia. Come omaggio ai padri contadini che tanto lo apprezzavano è stato chiamato Pàtrimo (dal latino pater che significa padre).
Le piante hanno rese molto basse, ciascuna di esse messaggera di questa storia del passato raccontata dalle bottiglie prodotte in tiratura limitata.
Una dichiarazione d’amore
Il Pàtrimo nasce nel 1999 e si distingue da subito per la spiccata freschezza dovuta al microclima irpino.
Importanti sono l’esatto momento della raccolta delle uve fatta rigorosamente a mano, l’affinamento in botti di rovere francese per 18 mesi e il riposo prolungato in bottiglia di 10 mesi.
Versato nel bicchiere, poi, la suadenza dei piccoli frutti neri si accompagna a spezie dolci di eucalipto e sentori delicati di tostato. Il colore è rosso rubino, limpido ma allo stesso tempo impenetrabile allo sguardo. I suoi tannini sono dolci, fini e morbidi, una gioia per il palato ripagato da una persistenza che lascia il ricordo di sensazioni di frutta e spezie, oltre a una storia che appartiene da sempre al suo territorio.
Una storia che va raccontata, degustata e, soprattutto, assaporata. Un omaggio all’Irpinia, una dichiarazione d’amore al lavoro dei suoi padri.
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