Nel mondo dei vini di alta qualità, le uve ibride sono state per lungo tempo malviste, oggi ci sono segni di crescente accettazione nei confronti di vitigni ibridi resistenti alle malattie.
Contrariamente a quanto succede per le altre colture, i viticoltori europei tendono ad evitare nuove varietà preferendo quelle tradizionali nonostante siano altamente più sensibili alle malattie fungine del Nuovo Mondo. Le viti native del Nord-America sono molto più resistenti essendosi evolute insieme ai propri patogeni e l’ibridazione con le specie europee è stata necessaria per oltre un secolo. Basti pensare alla strage compiuta dalla filossera tra la metà dell’800 e la metà del ‘900, questi ibridi hanno permesso per un secolo di continuare un’industria vicina all’estinzione.
Dopo la crisi della filossera, negli anni ’50, in Francia oltre 400mila ettari erano coltivati con vitigni ibridi, numero che grazie a portainnesti e moderni fungicidi oggi si è ridotto a circa 6000 ettari. Oggi l’uva da vino in Unione Europea è trattata con il 25% del totale dei pesticidi utilizzati in agricoltura, nonostante occupi soltanto il 3% della superficie agricola, un dato allarmante secondo INRA.
INRA rilascia 4 vitigni resistenti a Oidio e Peronospora: Floreal, Voltis, Artaban e Vidoc
L’Institut national de la recherche agronomique (INRA) è un istituto di ricerca attivo dal 1946 patronato dal Ministero dell’Agricoltura francese. L’istituto è uno dei leader a livello europeo e mondiale per la ricerca agroalimentare volta a migliorare lo stile di alimentazione e la tutela dell’ambiente attraverso pratiche agricole sostenibili.
L’anno scorso l’INRA ha finalmente registrato nel catalogo ufficiale delle specie e varietà coltivate in Francia 4 nuove varietà di uve capaci di resistere alla Peronospora e all’Oidio. Vi riportiamo qui sotto le schede redatte da INRA dei 4 vitigni, 2 a bacche bianche e 2 a bacche rosse:
Questa novità è stata apprezzata in particolare in California, forse la regione vitivinicola più prestigiosa fuori dall’Unione Europea. Nel Nuovo Mondo anche gli agricoltori sono più avvezzi alle novità, altro non fosse che una nuova varietà nasce dalle difficoltà della precedente, difficoltà legate alle malattie piuttosto che al clima. Parlo di clima poichè, se le malattie possono essere prevenute o curate con pesticidi, il clima sta imponendo scelte più drastiche, si veda la recente approvazione dei viticoltori di Bordeaux a nuovi uvaggi per le AOC minori. Altro paese che da sempre è favorevole alla diffusione di vitigni resistenti è la Germania, in cui questi vitigni vengono chiamati PIWI, abbreviazione di pilzwiderstandfähige (resistenti ai funghi).
Ma non chiamateli vitigni ibridi. INRA ha denominato il programma “RESDUR” e prevede di rilasciare un’altra dozzina di varietà nei prossimi anni. La resistenza di questi vitigni non è assoluta, si basa di fatto sulla capacità di alzare una resistenza agli agenti patogeni più duratura rispetto ai vitigni tradizionali, da questo il nome RESDUR.
Diffusione dei PIWI in Europa: le incognite e la diffidenza dei produttori
Oggi sono circa 5000 gli ettari coltivati con varietà PIWI, principalmente concentrati in Europa Settentrionale dove il clima più freddo e umido aumenta il rischio di muffe, portatrici in particolare di Oidio e Peronospora.
I primi vitigni di questo tipo sono stati rilasciati negli anni ’90 (tra i più famosi il Regent e il Cabernet Blanc) ma neanche i sostenitori di queste uve accettano volentieri l’etichetta di vitigni ibridi.
Infatti con vitigno ibrido passa un concetto di vitigno di seconda qualità, molto probabilmente dipeso dai problemi dei primi vitigni ibridi Franco-Americani fortemente influenzati nelle proprietà organolettiche dalle uve Americane. Oggi gli strumenti utilizzati in genetica sono estremamente fini e in grado di modificare il minimo indispensabile il DNA della Vitis vinifera sottoposta ad intervento, mutandone solo la porzione utile alla resistenza.
Nonostante i PIWI siano al 98% vitigni tradizionali e le pressioni delle malattie e dei cambiamenti climatici siano sempre più spinte, le grandi regioni del vino rimangono profondamente legate ai propri vitigni. Vanno considerati inoltre i disciplinari di produzione, molto rigidi e attualmente non disposti a scendere a patti con questi nuovi vitigni, sicuramente resistenti ma ancora sconosciuti ai più.
Per questo nasce PIWI International, associazione che promuove lo scambio di informazioni tra istituti di ricerca, allevatori, coltivatori e produttori dei vini PIWI. A partire della sua fondazione nel 1999, l’associazione è cresciuta costantemente e conta ora più di 350 membri provenienti da 17 paesi tra Europa e Nord America. Annualmente vengono organizzati corsi enologici per presentare le varietà e aiutare i viticoltori a scegliere il giusto vitigno PIWI in relazione alla regione e al vino da produrre.
Un’altra incognita che si incontra scegliendo vitigni PIWI è legato al marketing. Se coltivare un vitigno poco conosciuto può provocare qualche grattacapo e imprevisto in fase di produzione, il marketing dovrebbe essere agevolato essendo uve che richiedono un uso inferiore di pesticidi. Questo è vero, ma portare alla luce il quantitativo di pesticidi utilizzato nelle vigne tradizionali potrebbe avere effetti controproducenti per l’intero movimento.
Il trend biologico e biodinamico in costante crescita lascia aperto più di uno spiraglio alla produzione di vini PIWI, vini che teoricamente potrebbero avere un impatto economico e ambientale positivo tagliando parte dei costi e dei rischi legati ai pesticidi in vigna. Siamo pronti ad un simile cambiamento?