Parlare di vino ormai è cosa di tutti i giorni. Per qualsiasi persona è diventato facile accedere a molte informazioni in ambito enologico, grazie al marketing di consorzi e produttori, al rapido diffondersi di trasmissioni televisive in ambito gastronomico (dove trova sempre spazio una “pillola” sul vino, per lo più legata all’abbinamento con il cibo), oltre alla facilità di accedere ad approfondimenti (di vario livello tecnico) attraverso internet.
Il mondo del vino, però, ha spesso un linguaggio abbastanza tecnico, che seppur stia diventando di dominio di un’ampia fetta di consumatori, non sempre credo sia facilmente compreso.
Nell’intento di redigere un “dizionario del vino” per chi sta tentando di avvicinarsi a questo mondo, mi sono presto accorto che ogni termine, anche il più banale, apriva finestre e finestre, richiami e correlazioni, al punto che più che un dizionario stavo scrivendo un’enciclopedia!
Dunque ho fatto un passo indietro e qui proverò a descrivere cinque termini base, ormai entrati nel lessico comune, in maniera spero sintetica e chiara… magari dedicherò un futuro post a qualcuno di questi.
Tannino
I tannini sono delle sostanze presenti nel vino, causa di astringenza in bocca durante il sorso, sostanze che danno struttura al vino e, grazie alle proprietà antiossidanti (motivo per cui “un bicchier di vino rosso al giorno fa bene” secondo i medici), garantiscono longevità al vino in bottiglia e in botte. Più tecnicamente, i tannini si definiscono “composti polifenolici” presenti in tutti i vegetali, compresa la vigna; nel frutto si concentrano nei vinaccioli e nelle sostanze coloranti della buccia.
Tali sostanze si trasferiscono al mosto, durante la macerazione delle bucce, in fase fermentativa. Sono maggiormente presenti nei vini rossi, rispetto ai vini bianchi. Inoltre si diversificano al variare della tipologia di pianta, motivo per cui si selezionano attentamente i legni per le botti, dedicate all’evoluzione del vino.
Fermentazione
La fermentazione è quel processo chimico che definisce i limiti della parola “vino”: senza la fermentazione, per legge, non si può parlare di vino.
La fermentazione è un processo chimico che porta alla trasformazione di alcuni composti organici (zuccheri e acidi organici) in composti più “semplici” (alcool, anidride carbonica e acidi organici più semplici) ed energia. È frutto del lavoro di vari microrganismi, esistenti in natura, quali lieviti, muffe e batteri. La qualità del vino passa per il saper gestire al meglio il processo fermentativo, perché annate diverse danno uve diverse e quindi un mosto diverso: questo significa che l’enologo dovrà cavalcare e domare un “cavallo” diverso a ogni vendemmia. Questo è ciò che fa dell’uomo un elemento fondamentale nella qualità del vino.
Denominazione d’origine
Dal 1963, attraverso la legge 116/63, si introduce in Italia una normativa in ambito enologico, che ha lo scopo di migliorare la salubrità e la qualità del vino, dando spolvero alle zone produttrici di vino. La successiva legge 164 del 1992, affinerà la precedente normativa. Riassumendo, attraverso un processo burocratico e controlli da parte di appositi enti, risultava possibile riconoscere dei disciplinari di produzione, il cui rispetto concedeva ai produttori di fregiare i propri vini delle definizioni: IGT (Indicazione Geografica Tipica), DOC (Denominazione di Origine Controllata) e DOCG (Denominazione di Origine controllata e Garantita). Non sempre questa legge è stata correttamente interpretata, in quanto vista come il livello minimo per raggiungere un importante strumento di marketing, come la denominazione in etichetta delle bottiglie di vino.
Nel 2010 è entrata in vigore la normativa “Nuova OCM del vino” tale per cui, allineandosi alle normative europee, i prodotti possono esser definiti con DOP (Denominazioni di Origine Protetta) e IGP (Indicazione Geografica Protetta), ma vengono mantenute le denominazioni storiche in etichetta. Perciò se in mano vi trovate una bottiglia con la scritta DOP o IGP in etichetta, non spaventatevi, non avete scelto una bottiglia di succo di mele, state per bere un vino, con una denominazione aggiornata alle nuove normative.
Botte
La botte è un contenitore in legno per liquidi, con una storia millenaria in quanto, fin dagli Etruschi, veniva utilizzata come strumento di conservazione e trasporto. Qualche storico associa ai Celti, maestri della lavorazione del legno, la prima comparsa.
Enologicamente la botte permette una micro-ossigenazione, favorendo una certa evoluzione del vino, rilasciando dei tannini di struttura più semplice rispetto a quelli della buccia dell’uva, quindi intervenendo nella
struttura e nel sapore del vino stesso. I legni possono subire dei trattamenti come la tostatura, che impatta in modo diverso sul vino, rilasciando note di tostatura e vanigliate più o meno intense. L’apporto del legno diminuisce progressivamente in base ai vari passaggi del vino, fino a non rilasciare più alcuna sostanza, garantendo comunque un micro-passaggio d’aria, attraverso i pori del legno.
Le botti hanno diverse dimensioni e impattano sul vino in base al rapporto tra la superficie del legno in contatto con liquido e il volume contenuto. Motivo per cui le barrique (contenenti 225 lt se bordolesi o 228 lt se borgognone) sono più “impattanti” sul vino rispetto ai Tonneau (contenitori di dimensioni variabili contenenti 500-900 lt). Analogamente le diverse tipologie di legno, con cui sono costruite le botti, diversificano il loro apporto e timbro sul vino.
Spumantizzazione
Lo spumante è un vino in cui viene “attivato” nuovamente il processo fermentativo, allo scopo di generare le famose “bollicine”. L’anidride carbonica è uno dei composti generati dalla fermentazione alcolica; se si attiva la rifermentazione, sotto l’effetto della pressione in un contenitore chiuso, l’anidride carbonica si discioglie nel vino, che quindi rilascia nel tempo le bollicine, una volta aperto il contenitore. Quanto più rimane nel contenitore il vino rifermentato, tanto più le bollicine diverranno numerose e di dimensioni ridotte. Il contenitore per la spumantizzazione storicamente è la bottiglia, in questo caso si parla di Metodo Classico o Champenoise, come da sempre viene prodotto il famoso Champagne (da cui il nome del metodo). Il lungo permanere delle fecce di fermentazione, in un ambiente ad alta pressione, fa in modo che alcune sostanze, come i lieviti, attraverso lisi, si disciolgano nel vino, arricchendo così il bouquet olfattivo del vino. Una volta concluso il periodo di riposo sui lieviti, la bottiglia viene stappata, permettendo l’eliminazione delle fecce residue, per esser poi ritappata, con i famosi tappi a fungo, e racchiusa con le gabbiette di sicurezza.
Nel caso la spumantizzazione sia realizzata in contenitori tecnici isobari come l’Autoclave, si parla di Metodo Charmat o Martinotti. Da questo contenitore (dove la spumantizzazione viene realizzata in tempi molto più brevi, rispetto alla rifermentazione in bottiglia), si passerà poi a un imbottigliamento isobaro, per evitare la dispersione delle bollicine, nella fase di travaso nella bottiglia. Questo metodo nasce per trasportare ed esaltare le note aromatiche di alcune uve, che verrebbero disperse da un lungo permanere a contato con le fecce di fermentazione.
Tante sono le parole su cui soffermarsi, e ognuna di queste cinque meriterebbe molto più spazio, ma spero che questo possa essere sufficiente per comprendere un po’ meglio termini che ormai utilizziamo o sentiamo nel gergo di tutti i giorni, a cena o al bar, di fronte ad un bicchier di vino.