Il formaggio di capra ed il vino hanno in comune molti dettagli: il grande Luigi Veronelli, quando parlava di prodotti con la stessa radice territoriale e le stesse caratteristiche, li chiamava “Matrimoni d’amore“, e questo sono, davvero; il formaggio di capra, così come il vino, parla della sua terra, ne ha respirato il vento, la brezza, la bufera, ne esprime il carattere, la grinta, la tenacia.
In Italia e nel bacino del Mediterraneo, il formaggio di capra ha una tradizione antichissima, ci sono ritrovamenti archeologici risalenti addirittura a 7000 anni fa, che dimostrano in maniera incontrovertibile l’abitudine di allevare le capre, e di ricavare il loro latte, ne parlava Omero nell’Odissea, Aristotele dichiarava di preferirlo a quello bovino, Plinio il Vecchio racconta che a Roma arrivava il Caprino di Agrigento, Marco Terenzio Varrone spiega che si preferiva il caglio di lepre o capretto, e non di agnello, per fare il formaggio di capra.
Passando al Medioevo scopriamo che veniva usato come moneta di scambio e che soprattutto nelle antiche abbazie dei monaci se ne praticava la lavorazione artigianale accurata, tanto da farlo diventare pregiatissimo.
Arrivando ai nostri giorni, con un gran salto nel tempo, ritroviamo il formaggio di capra in Piemonte, Lombardia, Liguria e Veneto, ma anche Umbria e Basilicata al centro e al sud, e nelle isole, Sicilia e Sardegna; ma stiamo citando solo i territori in cui la produzione è più nota, ed in alcuni casi certificata come DOP o PAT, Denominazione di Origine Protetta o Produzione Artigianale Tipica.
Il formaggio di capra assume, come i suoi parenti stretti di pecora o di vacca, nomi particolari a seconda del tipo di lavorazione e del territorio dove nasce; ricordiamone qualcuno: il Caprino, ovviamente, poi il Primo sale e la Malfatta, il Deliziola, lo Stracco, il Fiordicapra, il Pandicapra, la Capralpina, i Bocconcini di Langa, il Castagnino, avvolto in foglie di castagno, il Sigarot, con la sua forma allungata che ricorda un sigaro.
Tanti nomi particolari per tante delizie: abbiamo persino un capra speciale, quella orobica, dal territorio lombardo denominato orobia, e dal quale deriva anche il formaggio tipico, la robiola, o roviola, nel caso di formaggio di capra.
Quale vino sarebbe più appropriato insieme al formaggio di capra?
Come dicevamo all’inizio, il consiglio migliore è sempre quello di abbinare vino e formaggio di capra dello stesso territorio, per le affinità di cui abbiamo già parlato. Ma volendo qualche indicazione specifica, abbineremo vini corposi a formaggi strutturati, a pasta dura, e vini delicati a formaggi freschi, per i formaggi piccanti, erborinati, o a lunga stagionatura, sceglieremo vini con apprezzabile volume alcolico, mentre serviremo vini dolci, quando il formaggio è servito a fine pasto, come un dessert.
All’Erborinato di capretta, abbiniamo certamente il Sauternes, un vino muffato, con naso di zafferano, curcuma e fiori gialli, dal colore giallo dorato carico, sapore consistente, che bilancia bene dolcezza ed acidità, esaltando ed accompagnando con maestria il profumo intenso dell’Erborinato, dai toni di boschi e di funghi.
Con il Frisel delle Frise, dalla Valcamonica, stagionato 11 mesi, con note lattiche di burro fuso, fieno, frutta secca, serviremo un Rosso Piceno Superiore, con vitigni Sangiovese e Montepulciano, profumo gradevole e armonico, sapore sapido e asciutto, oppure un Anterivo dalla Toscana, con uve Prugnolo gentile e Merlot, vino rosso fermo, secco e non invadente.
Infine segnaliamo un Petite Arvine dalla Val D’Aosta, di delicata fragranza, dal profumo floreale ed agrumato con sapore morbido e persistente, per sposare il Tronchetto alla cenere di Boscasso, un formaggio di capra maturato 35 giorni, quasi burroso, avvolgente, con persistenza aromatica.