Repetita iuvant dicevano i latini. Il senso è che “ripetere fa bene”, e su questa scia si sono avvicendate generazioni di insegnanti con le loro famose “lezioni di ripasso” tanto utili (per chi non era stato attento prima) quanto noiose (per chi non sarebbe stato attento nemmeno poi).
Naturalmente non siamo qui a parlare né di scuola, né di didattica, ma è curioso notare come il concetto sotteso alla celebre espressione latina possa facilmente essere ritrovato anche nel settore che ci sta più a cuore in questa sede, quello enologico, e c’è un vino che ne è l’esempio concreto.
Chi l’avrebbe mai detto che anche “ripassare” un vino potesse avere i suoi pregi e vantaggi? Ebbene sì. Perché è proprio nell’atto del “ri-passare” (passare nuovamente, nel più puro senso etimologico del termine) che risiede l’originale impronta di un vino che, bevuto una volta, non si dimentica più: il Valpolicella Ripasso.
Siamo sulle colline della Valpolicella, bagnate dall’Adige a sud e protette dai Monti Lessini a nord. Il clima di questa zona assomiglia molto a quello mediterraneo e il suolo è costituito prevalentemente da calcare, tant’è che oltre per la viticoltura, la Valpolicella è nota per le estrazioni del marmo rosso di Verona.
Già all’epoca dei Romani la Valpolicella era considerata una zona naturalmente vocata alla coltivazione della vite, e oggi su quelle colline lavorano piccole aziende agricole a conduzione familiare di fianco a grandi imprese del mondo enologico.
Il Valpolicella Ripasso è prodotto con i vitigni autoctoni corvina, corvinone e rondinella, usati anche per la produzione di Amarone e Recioto, ma spesso non manca l’aggiunta di altre uve in piccola percentuale come la cruina, la croatina, la negrara, l’oseleta e la molinara.
Ritorniamo allora al concetto di ri-passo e addentriamoci in quella che nel tempo è diventata una vera e propria pratica enologica distintiva della Valpolicella e del vino che proprio da questa tecnica prende il nome.
In origine, il Valpolicella base veniva “ripassato” nelle vinacce dell’Amarone per conferire al vino maggiore struttura e un più ricco corredo gusto-olfattivo. Col passare del tempo i vignaioli sono diventati sempre più esperti e la tecnica del “ripasso” si è andata sempre più affinando e raffinando fino a quando nel 2010 è stata istituita la DOC Valpolicella Ripasso.
Il passaggio del vino nelle vinacce consente una seconda fermentazione e non solo favorisce l’estrazione di sostanze che vanno ad arricchire il vino di fragranze e sentori vicini a quelli dell’Amarone, ma consente al vino maggiore capacità di resistere al tempo e all’affinamento grazie all’aggiunta di tannini che provengono proprio dalle vinacce e all’aumento del tenore alcolico.
Ogni produttore ha elaborato e curato una tecnica propria. C’è chi mantiene il vino base sulle vinacce per pochi giorni come nel caso del Valpolicella Ripasso di Speri; chi, invece, allunga la macerazione fino a 15 giorni. C’è chi fa ripassare il vino nelle vinacce sia di Amarone sia di Recioto.
È interessante, d’altra parte, notare come sempre più spesso anche per il Valpolicella Ripasso si preferisca far appassire un po’ le uve, chiaramente con tempi molto più brevi che per l’Amarone. Un esempio è il Valpolicella Ripasso Classico Superiore “Vigneti di Torbe” della cantina Valpolicella Negrar, le cui uve sono rigorosamente selezionate a mano nel vigneto e appassite in fruttaio per circa 40 giorni. Il vino è poi ripassato sulle vinacce di Amarone per 15 giorni e messo in botte ad affinare per 24 mesi.
Il Ripasso è un vino elaborato, sofisticato, che può toccare punte di eleganza eccezionale. Unico nel suo genere, non esiste altra regione italiana in cui si produca un vino utilizzando una tecnica simile. Questa volta è proprio il caso di dire che almeno una volta sarebbe conveniente a tutti fare una buona lezione di Ripasso.