La sinergia è l’elemento fondante dei vini blended, i vini tagliati.
Anche se molti winelovers preferiscono bere vini monovitigno (in purezza) delle migliori uve quali Merlot, Chardonnay, Pinot Noir e Sauvignon, è inutile nascondere che i vini blended abbiano fascino. Che l’abbraccio sinuoso tra alcuni vitigni, spesso tra i più comuni e internazionali, ci sappia far innamorare quanto un vino in purezza, se non di più.
A livello culturale, iniziare assaggiando vini monovitigno permette sicuramente di radicare basi conoscitive per capire meglio i singoli uvaggi e spesso i terroir dove crescono, ma la scoperta dei migliori vini blended spesso è definitiva. In effetti, molti dei più grandi vini del mondo si basano su miscele di diverse uve, certamente non un caso fortuito. I vini di Bordeaux, Rodano meridionale, Champagne, Chianti e la valle del Douro sono punti di riferimento per l’arte vitivinicola, scopriamone i segreti.
Bordeaux e il taglio bordolese
L’identità enoica di Bordeaux si basa su un blend: il taglio bordolese.
La premessa riferisce ovviamente ai soli vini rossi di Bordeaux, vini che hanno reso la città francese addirittura una precisa colorazione. In realtà sia i vini bianchi che rossi (sia i dolci Sauternes) usano due o più uvaggi. Le varietà che concorrono nel taglio bordolese rosso sono: Cabernet Sauvignon, Merlot, Cabernet Franc, Petit Verdot e Malbec. Talvolta a queste si aggiunge il Carmenère, un uvaggio per lo più emigrato nelle Americhe, in particolare in Cile e California.
La composizione della miscela dei vini rossi bordolesi, dipende dal lato dell’estuario della Gironda in cui vengono prodotti. Sulla riva sinistra, nelle regioni Médoc e Graves, il blend è dominano dal Cabernet Sauvignon. Sulla riva destra, nella regione del Libournais (culla di Pomerol e Saint-Emilion, per citarne due), sono costituiti principalmente da Merlot e Cabernet Franc.
I vini a miscela bianca di Bordeaux sono principalmente a base di Sauvignon Blanc, Sémillon e Muscadelle, con Sauvignon Gris, Colombard, Ugni Blanc e Merlot Blanc usati occasionalmente in alcune micro-zone. I sapienti blend bianchi bordolesi sono la base anche di vini dolci passiti e botrotizzati quali Sauternes e Barsac.
Storicamente in Francia, la coltivazioni di diverse tipologie di uve e il blend è sempre risultato vantaggioso:
- Se una varietà qualche anno non fosse stata all’altezza (o portava una resa inferiore alle aspettative), il viticoltore poteva fare affidamento sulle altre coltivate.
- Le diverse uve maturano in momenti diversi, questo riduce le difficoltà logistiche legate alla vendemmia.
- Uve diverse portano diversi punti di forza e debolezza; aroma, acidità e qualità tanniche diverse ma ben miscelate aumentano la complessità del vino realizzato.
La sapienza degli enologi di Bordeaux unisce un Cabernet Sauvignon austero, strutturato e tannico, con un Merlot maturo, morbido e vellutato, in un’esperienza magica e del tutto senza precedenti. Questo è il taglio bordolese.
Il Rodano meridionale: la valle dei Cotes du Rhone e Chateauneuf du Pape
Spostandoci di 500 km a est, nella valle meridionale del Rodano, i francesi hanno realizzato anche i vini “G-S-M”. G-S-M è l’abbreviazione di un blend a base di uve Grenache, Syrah e Mourvèdre, uve che si stanno diffondendo nelle regioni vinicole dai climi più torridi. Questi vitigni in combinazione sono stati vinificati originariamente nel sud della Francia e hanno reso famosa nel mondo in particolare la valle del Rodano.
La ricetta del taglio bordolese, così come quella dei vini GSM, sono state perfezionate in centinaia di anni da una delle migliori e più longeve viticolture al mondo.
La minuzia nella composizione dei vini delle denominazioni della Côtes du Rhône è esagerata: sono consentite fino a 18 uve diverse e fino a 13 nella sola AOC Châteauneuf-du-Pape. Ovviamente solo pochi produttori lavorano con tutti questi vitigni, la maggioranza si limita ai principali tre che definiscono veramente lo stile dei vini del Rodano.
In particolare, la Grenache spesso rappresenta la percentuale maggiore di uvaggio all’interno dei blend G-S-M. La Grenache ha un colore e un tannino non particolarmente spiccati, ma è ricca di zuccheri e quindi di alcol, portando corpo. Quest’uva porta inoltre aromi di lampone e fragola canditi e spezie al blend. La Syrah porta acidità, struttura e note sapide, infine la Mourvèdre fornisce tannini e un note floreali. Un mix perfetto.
Come a Bordeaux, anche i bianchi della Valle del Rodano devono le loro fortune a blend di diversi uvaggi. Tra questi uno dei più diffusi è un vitigno autoctono, il Viognier, che negli ultimi anni è stato apprezzato anche nelle produzioni italiane ed in America. Le altre uve che troviamo spesso impiegate in questi blend bianchi sono Marsanne, Roussanne, Grenache Blanc, Clairette e Bourboulenc, più limitatamente Picpoul Blanc, Picpoul Gris e Picardin.
Marsanne e Roussanne sono da sempre le più abbinate, mentre di recente ha preso piede la Grenache Blanc che porta maggiore bouquet e freschezza.
Champagne: non solo Chardonnay o Pinot Nero
Ebbene sì, anche lo spumante metodo classico più famoso nel mondo può essere prodotto blended. Lo Champagne infatti può essere prodotto in purezza da Pinot Nero, Chardonnay e Pinot Meunier, ma anche dalla combinazione dei tre uvaggi. A dover di cronaca, precisiamo che, nonostante quasi la totalità degli Champagne sia prodotta da Chardonnay o Pinot, sono sette le uve consentite dalla Champagne Appellation d’Origine Contrôlée (AOC). I restanti quattro sono Pinot Grigio, Pinot Bianco, Petit Meslier e Arbane.
Il Pinot Nero contribuisce alla struttura dei vini arricchendone il bouquet di frutti di bosco per un prodotto più fruttato, lo Champagne a base di Chardonnay invece trascorre più tempo sui lieviti e in affinamento in bottiglia per un prodotto più elegante. Il Pinot Meunier generalmente è la ciliegina sulla torta, capace anche in piccole quantità di rendere lo Champagne più rotondo e bilanciato.
Sebbene le uve si dimostrino complementari dal punto di vista organolettico, la scelta di coltivarne tre per la produzione di spumante nella regione dello Champagne si basò inizialmente sulla differente capacità di sopravvivere al clima. Secoli fa infatti il clima freddo e continentale della Francia settentrionale lasciava condizioni appena sufficienti alla produzione di uva.
In particolare, il Pinot Meunier oggi gode di buona considerazione da parte dei wine lovers e dei Sommelier per la sua capacità di completare blend molto raffinati. In origine la scelta da parte dei produttori era molto più legata al pragmatismo. In Champagne, il Pinot Meunier germoglia, fiorisce e matura prima delle altre due uve, dando ai coltivatori una sorta di polizza assicurativa contro il maltempo.
A causa dell’estrema variabilità del clima in Champagne, ogni vendemmia può portare rese differenti che influiranno sulla composizione dei blend e quindi sulle caratteristiche dei vini. Spesso si trovano in commercio Champagne senza annata anche dei più prestigiosi produttori per questa ragione. Gli Champagne Non-Vintage (N.V.) permettono all’enologo di comporre blend con parcelle di diverse annate dei diversi uvaggi per realizzare vini più bilanciati.
Chianti e Chianti Classico: La verità oltre al Sangiovese
Molti appassionati di vino pensano al Chianti come un vino in purezza, in cui il Sangiovese interpreti i terroir delle varie tenute toscane come un solista. In realtà, nell’area del Chianti, vengono coltivate un’orchestra di altri vitigni autoctoni (e non solo) accettati dalle DOCG Chianti Classico e Chianti in nome di tradizioni e biodiversità da conservare.
Nel 1716, Cosimo III de’ Medici, ha delimitato la prima zona vinicola del Chianti all’interno del Granduca di Toscana per identificare il vino identitario della sua terra. Dopo oltre due secoli di perfezionamento, l’area originale di Cosimo III ha ottenuto la sua propria denominazione nel 1984: Chianti Classico DOCG.
La denominazione è stata separata dalla più ampia Chianti DOCG per il valore storico che tutela, parliamo tuttavia di denominazioni abbastanza simili. La Chianti DOCG oggi ha sette sottozone (tra le più importanti Chianti Rufina e Chianti Colli Senesi). Ogni sottozona ha dei requisiti leggermente diversi, ma l’essenza è che un Chianti DOCG deve essere composto da un minimo del 70% di Sangiovese ed un massimo del 10% di uve bianche (Malvasia o Trebbiano). Per completare il blend, sono consentite le uve rosse autoctone Canaiolo Nero e Colorino ma anche Cabernet Sauvignon, Merlot e Syrah. Questi vitigni internazionali aggiungono frutto, tannino o rotondità al prodotto finale.
La denominazione storica Chianti Classico DOCG vuole essere più severa. Oltre ad aver un’area di produzione più circoscritta, ha vietato l’uva bianca a partire da un decreto del 2006. Oggi il Chianti Classico deve contenere almeno l’80% di Sangiovese, con un massimo del 20% di altre uve rosse Colorino, Canaiolo Nero, Cabernet Sauvignon o Merlot.
Una curiosità che pochi sanno è che i vini Sangiovese al 100% non sono sempre stati ammessi dalle tradizioni produttive del Chianti. Quindi, per legge, storicamente il Chianti era tale in blend. Con l’ammodernamento delle tecniche produttive, il Sangiovese si è dimostrato vitigno degno di essere vinificato in purezza. La sua capacità di adattarsi ed esaltare vari terreni, uniti ad un buon corpo e alla capacità di invecchiamento, lo rendono uno dei vini più consumati al mondo.
Tornando alla ricetta del Chianti Classico, i due uvaggi preferiti dai produttori per accompagnare il Sangiovese sono il Canaiolo e il Colorino.
Il Canaiolo è probabilmente il più diffuso partner del Sangiovese nelle miscele in Chianti. Per il portato di frutto e la capacità di ammorbidire i tannini pungenti del Sangiovese, il Canaiolo si avvicina al Merlot tra i vitigni più noti. Il Colorino aggiunge invece struttura e colore ai vini Chianti, inoltre la sua resistenza in vigna lo rende particolarmente gradito ai viticoltori.
Detto questo, Canaiolo e Colorino si trovano sfidati dalla concorrenza dei vitigni internazionali, in particolare del Merlot, per cui consigliamo di rendere omaggio alla storia del Chianti assaggiando i più tradizionali blend Sangiovese-uvaggi autoctoni al prossimo acquisto di Chianti Classico.
Porto e rossi della valle del Douro: vitigni autoctoni in armonia
La tradizione vinicola della valle del Douro in Portogallo è una tradizione viva da migliaia di anni con tecniche quasi immutate dall’epoca romana. I paesaggi delle vallate che cullano lo scorrere del fiume Douro sono merlettati da terrazzamenti su cui innumerevoli vitigni autoctoni hanno trovato la propria terra di elezione.
Questa ricchezza di varietà di uve ha portato molti produttori a sperimentare diversi blend, soprattutto nei vini rossi. Anche il vino nazionale più famoso, il Porto, viene prodotto a partire da blend di uve rosse, tra queste le più comuni sono: Touriga Nacional, Touriga Franca, Tinta Roriz, Tinta Barroca, Tinto Cão e Tinta Amarela. Le uve bianche utilizzate nel porto bianco e nei vini da tavola bianchi includono Gouveio, Rabigato, Viosinho, Malvasia Fina, Donzelinho Branco e Cerceal.
Tra le uve elencate la più diffusa e apprezzata del Portogallo è senz’altro la Touriga Nacional. Parliamo di un’uva rossa capace di portare aromi fruttati e floreali, note erbacee e corpo a vini con un buon potenziale di invecchiamento. Tra le altre uve degne di menzione, la Touriga Franca sfoggia aromi di rose e viole con tannini vellutati, mentre la Tinta Roriz (o Tempranillo in Spagna) porta frutti rossi e note di spezie.
Questa combinazione equilibrata si traduce in vini profumati, speziati, dai bouquet ricchi e fruttati spesso con note di frutta rossa e nera, violetta, cannella, chiodi di garofano, caramello e cioccolato.
… e i Super Tuscan?
Vi abbiamo presentato alcuni dei maggiori capolavori nella tecnica di miscelazione e vinificazione, frutto di secoli di perfezionamento ed esperienza. E poi ci sono i Super Tuscan.
Diciamo così perchè i Super Tuscan di fatto innestano in Chianti e Bolgheri il taglio bordolese. Un’idea sviluppatasi con le nuove conoscenze enologiche, semplice ma sensazionale, che in meno di 50 anni ha saputo tracciare una linea sottile tra tradizione e innovazione. Il Super Tuscan pone le radici dei 3 vitigni rossi più famosi del mondo in uno dei terroir più antichi, spezzandone le convenzioni delle denominazioni tradizionali.
Il successo internazionale avuto da queste nuove produzioni toscane, ha dato nuovo slancio al prestigio della viticoltura italiana e un’etichetta in particolare oggi rappresenta questo movimento: il Sassicaia.
Aldilà delle valutazioni internazionali delle ultime annate come il 100 WineSpectator e il 100 Robert Parker, la Bolgheri Sassicaia DOC è la prima denominazione italiana attribuita ad un vino di una specifica cantina. Vini unici, un privilegio che viene riservato solo a cru incredibili, tra questi per citarne uno Romanée-Conti.