L’8 marzo, giornata internazionale della donna, è sempre l’occasione giusta per celebrare i progressi in ambito economico, politico e culturale raggiunti dalle donne in tutto il mondo. Dato che celebrare non basta, vogliamo fermarci anche a riflettere sui cambiamenti in atto e supportare la lotta per le cose ancora da cambiare.
Per farlo abbiamo chiesto a Daniela Mastroberardino, attuale presidente dell’Associazione Nazionale Le Donne del Vino, alcune domande per raccontare le donne e il vino puntando i riflettori sulla presenza femminile nell’industria, il loro coinvolgimento e la loro spinta propulsiva.
L’Associazione Nazionale Le Donne del Vino è nata nel 1988.
Qual è stata in quel momento storico la ragione che ha portato alla creazione dell’associazione?
Direi che è il frutto della mente di donne tenaci e visionarie, in tempi molto lontani dalle pari opportunità, dalle quote rosa, dal gender pay gap e in un periodo storico dove sui media il vino non era ancora argomento quotidiano, Le Donne del Vino fecero notizia. Elisabetta Tognana aveva 32 anni quando nel marzo del 1988, durante la manifestazione Firenze a Tavola, fondò l’associazione. Al primo incontro parteciparono un piccolo gruppo di donne, Donne che erano d’esempio per altre giovani donne che avrebbero raccolto il testimone, fu questo il motore di un cambiamento di cui, ad oltre 35 anni, comprendiamo appieno il significato.
Quali sono oggi i numeri dell’associazione e che lavoro svolge all’interno dell’industria del vino?
Attualmente siamo oltre 1.100 socie attive nel settore, dalla produzione alla distribuzione, passando per la comunicazione e la sommelierie. Questo approccio interdisciplinare ci ha caratterizzato sin agli albori, ha anticipato i tempi ed è stata ragione del nostro successo. L’Associazione oggi è la più grande e organizzata al mondo, un sodalizio di straordinarie professionalità del mondo del vino ed espressione di un universo femminile protagonista dell’ospitalità, della cultura, della cura e salvaguardia del territorio. La nostra mission è accrescere la cultura del vino e il consumo responsabile, promuovere il ruolo delle donne del comparto vitivinicolo nella società e nel lavoro, la formazione e portare la voce delle donne alle istituzioni e alle organizzazioni del vino italiane ed estere.
Com’è cambiata negli anni la posizione delle donne in questa industria che ha radici storiche profondissime e in cui le tradizioni familiari hanno un grande peso?
Un’indagine di qualche anno fa metteva i riflettori sulla scelta delle donne del mondo rurale e veniva confermato come le radici, le tradizioni familiari pesassero. L’80% proveniva, infatti, da una famiglia di imprenditori dell’agroalimentare e nel 54% aveva maturato questa scelta nel tempo come un’occasione per realizzare il desiderio di lavorare in proprio (60%) (fonte “Imprenditoria femminile nella filiera del food” Pink Lady e Swg).
Un rilevamento più recente (2022 Nomisma Wine Monitor Viaggio nell’Italia del vino) ci fornisce un’indicazione della presenza femminile nelle imprese italiane del vino: in vigna e in cantina la loro presenza è del 14%. Il gentil sesso cresce di numeri e di ruolo via via che il vino si avvicina al consumatore: sono l’80% degli addetti al marketing e alla comunicazione, il 51% di chi si occupa di commerciale e il 76% di chi riceve gli enoturisti.
Crede che nei ruoli apicali ci sia una presenza di donne congrua? Quali sono i passi da fare e quali sono gli elementi che impediscono il cambiamento?
Uno studio pre-pandemia fotografava uno scenario dove un’azienda agricola con vigneto e/o cantina su tre era già allora condotta da donne, con numeri che si abbassavano al crescere della dimensione aziendale. Ciò detto può sembrare una presenza femminile limitata nei ruoli apicali e lo è, ma racconta, comunque, di un cambiamento in atto, con performance migliori di altri settori.
Studi più recenti ci dicono che in Italia il 22% delle imprese sono dirette da donne. La percentuale varia nei diversi settori perché la presenza di management femminile si concentra nei comparti turistico e agroalimentare. Sale al 28% nella ristorazione (Rapporto ristorazione 2022 FIPE Confcommercio) e nell’agricoltura (Centro studi Confagricoltura 2021).
Cosa fare per il cambiamento? Avere consapevolezza che la parità di genere è ancora una priorità, soprattutto quando si parla di conciliazione dei tempi della famiglia e del lavoro, senza contare la mancanza di idonei servizi che possano aiutare le donne a non dover scegliere fra lavoro e famiglia.
Una domanda sulla sua vita professionale. Com’è e com’è stata la sua esperienza nella sua azienda?
La mia storia ricalca molto l’identikit classico di tante imprenditrici attive in questo settore. Nasco in una famiglia che produce vino dalla fine del Settecento. A 26 anni maturo la scelta di intraprendere un nuovo percorso imprenditoriale, assieme a mio padre e a miei fratelli, lontana dalla cantina della mia infanzia, fra tantissime difficoltà che poi hanno segnato i decenni successivi assieme ai successi di quella che è diventata la nostra azienda, Terredora Di Paolo.
La mia è stata un’esperienza vissuta in un ambiente dove ero l’unica donna nel management e con un ruolo amministrativo. Poi la vita ha portato scompiglio in questo nostro piccolo mondo e ha rivoluzionato le nostre esistenze. Mi sono stati affidati anche altri ruoli, grazie ai quali i miei orizzonti si sono ampliati e, negli anni, nuove figure femminili, familiari e non, sono entrate in azienda.
Vogliamo il suo punto di vista sull’industria del vino in generale. I numeri dell’Organizzazione internazionale della vigna e del vino ci parlano di un calo dei consumi e della produzione. Quali sono le soluzioni adottate dalle aziende vitivinicole per adattarsi ai tempi?
Dopo le difficoltà della metà degli anni Ottanta e la successiva catarsi che ha trasformato il vino italiano in uno dei grandi ambasciatori del Made in Italy nel mondo, ci troviamo a vivere un momento di svolta: l’export registra battute d’arresto, i giovani sono disaffezionati al prodotto, si fanno strada sempre più politiche antialcoliche che demonizzano il vino, nonostante la moderazione nel consumo, la socialità siano parte integrante dello stile di consumo, cui non appartiene l’idea dell’eccesso.
Alle spalle, dunque, c’è il mondo che conoscevamo, davanti l’orizzonte è offuscato da nubi, alcune delle quali estranee alle dinamiche di settore, che riassumerei nell’instabilità globale che pesa sulle nostre aziende, altre del tutto interne al settore, quali trend di consumo in evoluzione, una comunicazione che alla ricerca di definire i nuovi codici per guardare con maggiore serenità al futuro.
Di fronte a questi scenari complessi, non c’è una ricetta, ognuno cerca di orientarsi come meglio crede, dunque c’è chi privilegia puntare su stili di prodotto identitari, recupero di vitigni dimenticati per fare un esempio, altri che guardano al mercato, per esempio ai low alcol, ai dealcolati, alle bolle o a vini di gusto tendenzialmente internazionale.
Un’ultima domanda: come vedono le aziende italiane il canale delle vendite online? Crede che rappresentino un canale valido per un settore tradizionale? A quali consumatori ci si può rivolgere attraverso l’e-commerce?
L’e-commerce è diventato uno dei tanti canali di vendita delle aziende, la pandemia l’ha definitivamente sdoganato. Su quanto possa rappresentare un canale valido d’acquisto per l’Horeca, direi che, forse, dobbiamo attendere. Penso, invece, possa essere canale utilissimo per avvicinare al vino i giovani, che comprano tantissimo online, sono mossi da curiosità e voglia di sperimentare.