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Attila e il vino Falerno

Attila è un dramma lirico di Giuseppe Verdi, in un prologo e tre atti. La prima rappresentazione fu al Teatro “La Fenice” di Venezia, il 17 marzo 1846.

La storia inizia ad Aquileia, attorno alla meta del V secolo; gli Unni saccheggiano e distruggono la città, guidati da Attila il quale ne uccide il signore; Odabella, sua figlia, decide di vendicare il padre, spinta dall’amore di patria.

Poi l’azione si sposta a Roma; gli Unni giungono alle porte della città e sono pronti a conquistarla.

Nella scena quinta, il campo d’Attila è pronto per un solenne convito; Attila da’ il benvenuto ad Ezio, generale romano, suo antico avversario, ma il cielo annuncia oscuri presagi . Attila respinge queste fantasie e dà ordine alle sacerdotesse di suonare e ballare.

E’ a questo punto che il vino entra in scena: Foresto, promesso sposo di Odabella, le sussurra che il momento del trionfo è vicino, perché Uldino intende avvelenare Attila con una coppa di vino avvelenata.

Attila alza il calice ma…Odabella getta la coppa lontano da lui, gridando “E’ veleno!”. La giovane tuttavia non ha dimenticato il passato e vuole solo vendetta: Attila vuole sposarla, ma, dopo che questi ha ricordato a Ezio e Foresto i favori fatti, Odabella si scaglia contro di lui e lo trafigge con un pugnale, mentre i romani combattono i barbari.

Possiamo immaginare che la coppa di vino che Uldino porge ad Attila sia colma di Falerno, il vino più noto, più apprezzato, più celebrato e più costoso dell’antica Roma.

Il Falerno si produceva nella zona chiamata dai Romani Ager Falernus, corrispondente all’area settentrionale della Campania ai confini col Lazio, un’area prevalentemente collinare occupata in parte dal vulcano spento di Roccamonfina e dal Monte Massico.

La leggenda narra, come racconta Silio Italico, che proprio in queste zone “Bacco, sotto mentite spoglie, chiese ospitalità al vecchio Falerno, che la concesse; commosso dalla sua generosità, Bacco fece nascere sulle pendici del Monte Massico viti lussureggianti”.

Originariamente il Falerno era un bianco, prodotto da falanghina, poi venne prodotto anche il rosso, da aglianico.

Il Falerno era così richiesto che la sua produzione non riusciva a stare dietro alla domanda e per questa ragione veniva spesso contraffatto, come scrive Galeno nel 180 d.C. (XIV, 77).

Veniva descritto come un vino denso (severus), durevole e forte (fortis), tanto che Orazio lo chiamava vino di fuoco (ardens); se giovane, era talmente aspro da non poterlo bere: per questo, piaceva solo dopo anni e anni di invecchiamento, per un periodo che poteva andare dai 10 ai 20 anni.

Petronio Arbitro racconta nel Satyricon che, durante la famosa cena di Trimalcione, gli haustores (gli antichi sommeliers) servirono un Falerno vecchio di 100 anni, il chè dimostra la leggendaria longevità di questo vino.

I produttori erano numerosi per l’epoca, forse oltre i 150. Proprio per variare il gusto forte, se ne producevano tre qualità: l’austerum, il dulce e il tenue.

Il vino veniva spesso allungato con acqua, calda d’inverno, mentre in estate i nobili erano soliti farselo servire con acqua fresca derivante dallo scioglimento di neve che gli schiavi andavano a prendere negli Appennini; in altri casi il vino veniva addizionato con acqua di mare. Per realizzare il dulce, venivano aggiunti miele e spezie.

Il Falerno veniva spesso affumicato, una caratteristica tipica di molti vini romani: Tibullo chiede di avere subito una coppa di Falerno, vecchio e affumicato (nunc mihi Gumosus veteris proferte Falernos).

La ragione del gusto affumicato, molto gradito, era che i vini venivano conservati nei locali situati ai piani superiori delle case, accanto alle canne fumarie; i contenitori di terracotta in cui venivano conservati (per le botti bisognerà aspettare i Galli) erano porosi e facevano assorbire l’aroma di affumicato al vino.

Le citazioni sono numerosissime: Virgilio nelle Georgiche afferma: “Nec cellis ideo contende Falernis”, ovvero “Perciò nessun vino può essere paragonato con il Falerno”. Plinio, nella Naturalis historia (XIV, 61-66) lo classifica ai primi posti per qualità e notorietà fra tutti i vini italiani al tempo di Augusto. A Pompei è stata ritrovata un scritta ove si dice: “Edone fa sapere: qui si beve per 1 asse; se ne paghi 2, berrai un vino migliore; con 4, avrai vino Falerno”.

Veniva molto apprezzato anche dai personaggi più in vista dell’antica Roma: Cesare (nel 47 a.C.) lo offrì per celebrare le sue vittorie e Lucano racconta che Cleopatra offrì a Cesare stesso “Falerno puro e resistentissimo”.

Era venduto in tutto il mondo conosciuto: sono state trovate anfore ad Alessandria d’Egitto, Cartagine, in Bretagna e in Spagna.

Il Falerno si può considerare il primo vino D.O.C. nel mondo: infatti gli antichi romani lo conservavano in anfore chiuse da tappi muniti di targhette (pittacium) che ne garantivano l’origine e l’annata. Le anfore venivano prodotte in antiche fornaci, ancora presenti sul territorio.

Poco dopo tuttavia, il mondo romano, e con lui la cultura del vino, verrà travolto dalle invasioni barbariche a partire dal III secolo d.C., che determinarono una progressiva crisi sino alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente avvenuta nel 476 d.C.

La discesa delle popolazioni germaniche comportò devastazione, saccheggi e distruzione dei vigneti. I barbari erano portatori di una diversa cultura e di altri valori; come osserva Massimo Montanari nel “Convivio”, erano espressione di una civiltà legata alla birra e alla bevande fermentate, rispetto alla civiltà del vino e dell’olio del mondo romano.

Iniziò una progressiva crisi dell’agricoltura e della viticoltura, quest’ultima tenuta in vita solo dai monaci (benedettini e cistercensi), in quanto il vino era necessario per celebrare il sacro rito dell’eucarestia e quindi per diffondere il messaggio cristiano.

Nel territorio, comunque, si continuò sempre nei secoli successi la produzione di questo vino.

Il Falerno si produce ancor oggi in cinque comuni nella provincia di Caserta e costituisce una delle Doc della Campania (Falerno del Massico), la quale prevede tre tipologie:

Falerno del Massico bianco (100% vitigno Falanghina);

Falerno del Massico rosso prodotto con uvaggi nelle seguenti percentuali: Aglianico 60-80%, Piedirosso 20-40%, con l’eventuale aggiunta di Barbera e Primitivo al 20%;

Falerno del Massico rosso primitivo, prodotto con uve del vitigno primitivo sia in purezza che in uvaggio con il 15% di Aglianico, Piedirosso e Barbera.

Il tipo bianco, derivante da uve Falanghina, vinificate in purezza, è un vino fresco e minerale; il rosso, ottenuto da uve Aglianico e Primitivo, si presente come un vino intenso, robusto, armonico.

 

Fonti: Slow Food Il piacere del vino; Andrea Scanzi Elogio dell’invecchiamento; Wikipedia; www.promozionecellole.it/vino.htm.

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