Il fungo dei ricchi signori, traducendo dal latino il nome scientifico “tuber magnatum”, è uno dei prodotti più pregiati della tradizione gastronomica italiana; ma le pietanze che prevedono il suo utilizzo, ancor più se a crudo e in purezza, necessitano di una particolare attenzione per l’accoppiamento tra vino e tartufo bianco, per evitare almeno due errori fondamentali.
Tartufo, gusto intenso e complesso
La composizione biochimica di questo fungo (sia nella versione bianca che in quella nera), infatti, necessita di una cura particolare al momento della scelta del vino, che deve essere capace di equilibrare gli eccessi contenuti nel tartufo (e ovviamente nell’intera pietanza), esaltando organoletticamente i profumi e i sapori, pulendo la bocca e donando un senso di piacevolezza appagante sia al cibo che al vino che si sta gustando.
Il gusto del tartufo bianco, pur essendo delicato, è comunque molto penetrante: il fungo sprigiona aromi che presentano sentori di terra umida di sottobosco, oltre a una nota persistente di tipo “gassoso”. Insomma, un sapore molto forte che, se non ben dosato, rischia di andare in contrasto a quello del vino, sopraffacendosi a vicenda e impedendo di realizzare un connubio armonico.
Le caratteristiche del tartufo bianco
Appartenenti alla categoria dei funghi ipogei, con un ciclo vitale che si completa tutto sotto terra, il tartufo è sprovvisto di parte verdi e non realizza fotosintesi clorofilliana, avvalendosi di altre piante per la sopravvivenza, come roverella, castagno e tiglio. Differentemente dai “cugini” funghi, poi, non diffonde le proprie spore in superficie, ma a maturazione emana un odore molto forte e caratteristico che richiama cinghiali, insetti e roditori, nonché i famosi “cani da tartufo”. Il Tartufo bianco ha forma irregolare e in genere una pezzatura dai 200 ai 400 grammi, ma ci sono anche casi di ritrovamenti di peso superiore al chilo; il colore, invece, è un caratteristico giallo ocra tendente al grigio oliva, con sfumature che possono andare dal nocciola al marroncino. Altrettanto unico e inconfondibile è il profumo, intenso e persistente.
Il tartufo in cucina (e i miti da sfatare)
Il primo consiglio è consumare il tartufo bianco a crudo, aggiungendolo sulle pietanze in piccole sfoglie; tra i cibi con i quali si crea un legame più gustoso ci sono le uova, i formaggi (in modo particolare nella fonduta), o primi piatti ricchi di burro. Come dicevamo, è apparentemente più complicato l’abbinamento tra vino e tartufo bianco, che sconta innanzitutto un vecchio preconcetto: tradizionalmente, infatti, si sosteneva una sorta di accostamento “cromatico” in questa scelta, e perciò i tartufi bianchi andavano serviti solo con vini bianchi e, viceversa, i tartufi neri solo con vini rossi. Oggi abbiamo superato questa tendenza, e si bada piuttosto a orientarsi su vini morbidi e profumati, che possano essere un contrappunto all’aroma del tartufo senza soffocarlo, magari puntando anche a una vicinanza “geografica” con la tipologia di fungo e il prodotto della vite. Così, un Tartufo Bianco d’Asti può accompagnarsi sia a un Dolcetto d’Alba che a un Barolo, mentre quelli marchigiani si sposano bene con un Rosso Piceno o un Rosso Conero (come l’Umani Ronchi San Lorenzo). Da non trascurare poi un abbinamento azzardato tutto “senese”, tra il Tartufo Bianco delle Crete senesi e il Brunello di Montalcino, accostando due sapori intensi per creare un effetto sorprendente.