L’impiego del tappo a vite per le bottiglie di vino è questione molto dibattuta tra i consumatori e i produttori di vino. Si tratta di un vero e proprio scontro culturale più che di una questione tecnica e funzionale.
Ormai da tempo si è compreso che entrambi i tappi vanno benissimo e il tappo a vite e il tappo in sughero possono coesistere e avere diversi utilizzi specializzati.
Le origini del tappo a vite
Il tappo in sughero, come di può facilmente immaginare, ha una storia molto lunga. Nel bacino del Mediterraneo è usato da più di duemila anni per tappare le anfore che venivano utilizzate per trasportare il vino dai Greci e dai Romani. I vantaggi erano già noti: il tappo in sughero garantiva isolamento termico e una certa aderenza al recipiente, oltra alla nota capacità di galleggiare.
Si narra che fu Dom Pérignon in persona a utilizzare il sughero per tappare per la prima volta delle bottiglie di vino, permettendo il consolidamento della pratica dell’invecchiamento e dell’affinamento in bottiglia. Si trattava di pratiche impensabili in recipienti non chiusi ermeticamente.
Ma da dove arriva, allora, il tappo a vite? La sua storia è molto più recente e legata alla produzione industriale e alla globalizzazione dei commerci. In principio era utilizzato come tappo di emergenza nei casi di rottura del tappo in sughero, ma ben presto la sua impermeabilità è saltata all’occhio.
Negli anni ‘70, il consolidarsi della produzione vinicola negli USA e in Australia ha messo in luce la scarsità mondiale del sughero e così il tappo a vite ebbe successo nei mercati emergenti. Il fatto che sia nato nei paesi anglosassoni l’ha reso meno appetibile ai paesi con una tradizione più lunga e consolidata, tanto che in Italia o Francia viene percepito come indicatore di scarsa qualità.
I vantaggi e gli svantaggi del tappo a vite
Oggi sappiamo che il tappo a vite, anche detto Stelvin dal nome del più noto e diffuso, è una soluzione ottima per la conservazione dei vini. Infatti, questa tipologia di tappo garantisce una massima ermeticità della bottiglia, così da evitare completamente il passaggio di ossigeno che porterebbe all’ossidazione del prodotto.
Il tappo a vite consente una conservazione in verticale, facilitando il trasporto e la conservazione in spazi ristretti. Il tappo in sughero, invece, deve rimanere a contatto con il vino costantemente perché non si inneschino processi di ossidazione.
A differenza di quello che spesso si sente dire dai non esperti, il tappo in alluminio non altera minimamente le proprietà organolettiche del vino. Infine, la chiusura e l’apertura della bottiglia sono di gran lunga più semplici. Anche se proprio su questo punto si danno battaglia i tradizionalisti e gli innovatori del mondo del vino.
Le differenze con il sughero
Il sughero è un materiale naturale che viene estratto delle cortecce della quercia. Viene prodotto solo in area mediterranea: il 50% della produzione mondiale avviene in Portogallo, seguono Spagna, Italia, Marocco, Algeria e Tunisia. Nonostante siano riciclabili entrambi al 100%, la sua ristretta area di produzione del sughero rende i tappi tradizionali meno appetibili per il mercato mondiale, a differenza dell’alluminio con cui vengono prodotti i tappi a vite.
Il sughero, tuttavia, sembra essere più adatto per i vini che richiedono invecchiamento, per esempio i grandi vini rossi francesi o italiani. Benché abbiano un’aderenza stagna al vetro delle bottiglie, il sughero di cui sono composti permette ai tappi tradizionali di garantire lo scambio di ossigeno necessario all’invecchiamento. Non a caso il tappo a vite, o Stelvin, viene maggiormente utilizzato sui vini bianchi e giovani.
Il tappo in sughero ha una problematica che tutti conosciamo: il famoso odore di tappo. Questo sentore si sviluppa quando il tappo è logoro e di scarsa qualità. Indica che nel vino è in atto una proliferazione di muffe sviluppatesi sul tappo in macerazione, quindi non bevetelo. Questo è ovviamente impossibile che accada con il tappo a vite.
Le prospettive future
Il tappo a vite è una realtà consolidata in Australia e Nuova Zelanda, dove si è diffuso per primo anche tra i produttori di vino rosso. È questo il caso dell’azienda vinicola Penfolds che lo utilizza per il suo Grange da diverso tempo. Ma non è un caso isolato, perché anche Chateau Margaux in Francia sta integrando il cosiddetto Stelvin, così come Gaja in Italia.
I produttori di vini bianchi in Italia sono sicuramente all’avanguardia del campo. Jermann, Livio Felluga, Graziano Prà o Albino Rocca sono solo tre dei marchi più conosciuti che stanno impiegando il tappo a vite Stelvin. D’altronde dal 2013 l’obbligo dei tappi di sughero è decaduto nei disciplinari DOCG, aprendo la strada alle aziende più coraggiose.
Il problema più grande da affrontare per i produttori è sicuramente quello dei costi che comporterebbe il passaggio a un impianto di imbottigliamento automatico con tappo a vite. Perché i macchinari non abbiano un impatto troppo forse sui costi, si richiede una produttività alta. Una macchina semplice può arrivare a costare più di 50 mila euro, costo che un piccolo produttore non potrebbe affrontare.
Questo limite, aggiunto a un forte tradizionalismo dell’industria italiana del vino, fa sì che la strada in Italia è ancora in salita. Secondo i dati messi a disposizione da Stelvin e Guala Closures, oggi più di un terzo delle bottiglie del mondo sono chiuse con tappo a vite. L’Europa Occidentale è passata dal 29% nel 2015 al 34% nel 2021. L’Italia è ferma al 22% escludendo la quota dei prosecchi.