Un vino italiano di indubbia eccellenza, che negli ultimi anni sta conquistando il mercato estero con un’ingente crescita dei fatturati: è l’Amarone della Valpolicella, il vino rosso più importante e rappresentativo del Veneto.
Qual è il suo segreto? O meglio, cos’è che fa dell’Amarone un vino così straordinario, unico e inimitabile? Beh, i fattori sono tanti. Come sempre accade nel mondo del vino, per creare un buon prodotto occorre sinergia tra diverse componenti e svariati fattori: il clima, il suolo, l’esposizione, l’intervento dell’uomo, la tradizione, la tecnica e tanto altro.
Tutte queste ‘variabili’ devono, però, essere regolate, e quindi disciplinate, per consentire al prodotto e alla terra che lo genera un’adeguata tutela, anche mediante l’istituzione di alcuni limiti territoriali e produttivi.
Qualche notizia storica
Pare che la prima attestazione dell’Amarone risalga al IV secolo dopo Cristo. In una lettera indirizzata ai proprietari terrieri Cassiodoro, ministro del re dei Visigoti Talarico, chiede che venga messo a disposizione della mensa reale quel vino chiamato Acinatico, che viene prodotto con una particolare tecnica di appassimento delle uve. Beh se di Amarone si tratta, anche se all’epoca non era verosimilmente lo stesso di oggi, era di certo così apprezzato da comparire sulla tavola del sovrano.
Nel corso dei secoli le notizie sull’Amarone sono piuttosto vaghe fino al 1800 circa, periodo a cui risale la prima analisi organolettica del vino condotta a Verona presso la stazione agraria sperimentale che ne riporta notizia in un bollettino ufficiale.
Per vedere la prima bottiglia di Amarone della Valpolicella bisogna aspettare il 1953, anno in cui si inaugura la commercializzazione del vino, destinata a varcare i confini nazionali ed europei in poco meno di 60 anni. Un vino giovane, si può dire, ma che ha fatto subito storia.
Che cosa dice il disciplinare dell’Amarone della Valpolicella DOCG
Fin dal 1968 l’Amarone rientrava in una denominazione di origine controllata che comprendeva anche Valpolicella, Ripasso e Recioto. L’esigenza di tutelare la specificità dell’Amarone ha fatto sì che nel 2010 venisse istituito un disciplinare specifico per suddetto vino, che, come previsto, può presentare anche la dicitura ‘Classico’, ‘Valpantena’ e la specificazione ‘Riserva’.
Ma prima di addentrarci nei dettagli relativi alla zona di produzione e alle tecniche di lavorazione, partiamo dalla base, dalla materia prima e cioè dall’uva.
L’Amarone è un vino che nasce dalla compresenza di più vitigni e in particolare di Corvina, da un minimo del 45% a un massimo del 95%, Corvinone, che può essere usato fino al 50% nella sostituzione di pari quantitativo di Corvina, e infine Rondinella in una percentuale variabile dal 5% al 30%. Come per la produzione di molti altri vini, anche per l’Amarone della Valpolicella è ammesso l’uso di altri vitigni, che devono essere rigorosamente a bacca nera, non aromatici e presenti in misura non superiore al 25%.
Corvina, Corvinone e Rondinella sono tre vitigni autoctoni del Veneto e la zona di produzione dell’Amarone è appunto la Valpolicella e comprende 18 comuni che si collocano nella zona pedemontana della provincia di Verona (il cui comune si aggiunge agli altri). Attenzione a quando sulla bottiglia si legge la dicitura ‘Classico’, giacché in questo caso la zona di produzione è limitata ai comuni di Negrar, Marano, Fumane, Sant’ Ambrogio e S. Pietro in Cariano.
I vigneti si trovano fino a 500 m. s.l.m. e sono allevati con il sistema a spalliera o a pergola veronese, per ogni ettaro vitato sono previsti non meno di 3300 ceppi con una resa massima di 12 tonnellate.
Ma qual è la vera particolarità dell’Amarone della Valpolicella? Senza dubbio l’appassimento. Un rosso, secco, passito.
Tutta la procedura, dalla vendemmia all’imbottigliamento, prevede operazioni accurate e controllate. La selezione delle uve è praticata in vigna rigorosamente a mano e quando gli acini sono maturi, tra la seconda decade di settembre e la prima di ottobre, l’uva si dispone in un unico strato in cassette di legno o su graticci e la si lascia appassire per circa 100/120 giorni nei fruttai (locali costruiti di solito sopra le cantine adeguatamente arieggiati). Ogni giorno si eseguono controlli per verificare lo stato delle uve che durante l’appassimento devono perdere almeno metà del loro peso originario affinché si concentrino gli zuccheri e aumenti la presenza di altre sostanze come la glicerina e il resveratrolo.
Terminato l’appassimento si passa alla vinificazione che non può avvenire prima del primo dicembre successivo alla vendemmia (salvo casi eccezionali dovuti a un particolare andamento climatico) dopo la quale il vino deve trascorrere minimo 2 anni in botte ad invecchiare; per la Riserva gli anni di invecchiamento sono 4 e in ogni caso, prima della commercializzazione, l’Amarone deve riposare per un certo periodo in bottiglia.
È uno dei vini italiani più longevi e si abbina molto bene ai secondi di carne, alla selvaggina, ai formaggi stagionati, ma può essere bevuto anche ‘assoluto’, proprio come un vino da meditazione.